Nei primi mesi della pandemia l’attenzione si è concentrata sulle conseguenze dell’infezione virale sulla pelle mentre gli effetti sui capelli sono emersi in un tempo successivo. Ciò perché inizialmente era un problema marginale in relazione agli altri sintomi dell’infezione mentre, col passare dei mesi, l’aumento dei casi ha portato ad incremento di segnalazioni di problemi di caduta dei capelli.
E’ ormai noto che l’infezione da Covid può determinare sia cadute acute, come il telogen effluvium (TE), che aggravare situazione croniche come l’alopecia androgenetica. Anche le forme di alopecia areata possono comparire con manifestazioni acute o riacutizzazioni di quadri preesistenti.
La situazione più frequente è il TE, una caduta acuta che può essere solo un’accentuazione di perdita ai lavaggi o una caduta continua nell’arco della giornata. A differenza di un normale TE, che inizia tre dopo l’evento scatenante (febbre, stress, interventi chirurgici, ecc.) e si risolve normalmente nell’arco di sei mesi, il TE post Covid può iniziare prima e durare più a lungo.
In certo numero di casi alla caduta si associa la cosiddetta tricodinia, un’alterazione della sensibilità del cuoio capelluto con sensazione di dolore allo spostamento dei capelli.
Una delle teorie proposte per spiegare l’origine della caduta dei capelli post-Covid ipotizza un ruolo dei mediatori – chiamati ‘citochine pro-infiammatorie’ – che condizionano l’attività della matrice del capello e quindi il ciclo di crescita e caduta. Sembrerebbe esservi una predominanza femminile e pertanto si è ipotizzato un ruolo importante degli estrogeni e del progesterone i cui livelli si ridurrebbero come conseguenza dell’infezione virale da Covid.
Non sono ancora noti dati certi della persistenza di problemi di caduta di capelli nelle forme long-Covid.
La terapia contempla l’uso di cortisonici prevalentemente per via locale, nelle forme più drammatiche per via sistemica, di minoxidil per via locale o orale, la correzione di carenze di vitamina D, l’impiego di integratori calibrati in base ai risultati degli esami ematochimici.